Fino al VI secolo, l’Arabia svolge un ruolo marginale nel panorama politico mondiale. Essa è abitata da popolazioni tribali, alcune delle quali vivono in modo sedentario in prossimità delle oasi o nelle città, altre sono nomadi. Ciascuna venera proprie divinità e pratica il politeismo, anche se è esposta all’influenza dal cristianesimo e dell’ebraismo. In generale, le tribù vivono separate e sono gelose della propria autonomia, ma ci sono delle eccezioni. Si racconta, per esempio, di un abile condottiero, di nome Qusay, che è riuscito ad unire diverse tribù e a fondare La Mecca, intorno al 440. Nel VI-VII secolo, molti arabi sono arruolati, come soldati mercenari, negli eserciti persiano-bizantini, che si combattono. Lungo le vie percorse dai soldati si muovono anche le carovane dei mercanti arabi, che scambiano i loro prodotti con i persiani, coi bizantini e con altri paesi vicini. Uno di questi mercanti è Maometto. L’Arabia irrompe nella storia nel VII secolo, proprio con Maometto, mentre la penisola Arabica è ancora abitata da tribù nomadi e La Mecca costituisce un centro particolarmente importante, sia dal punto di vista commerciale, sia come sede di pellegrinaggio.
Maometto nasce proprio alla Mecca intorno al 570 da famiglia benestante. A cinque anni perde il padre, l’anno dopo la madre e il nonno, perciò viene accolto dallo zio Abu Talib, uomo molto influente e potente. Passa la giovinezza guidando carovane. All’età di 25 anni si sposa con una ricca donna, di nome Cadigia, e ne assume l’attività commerciale. Da quel matrimonio nascono sei figli, di cui sopravvivrà solo Fatima, la “molto amata”. Avvezzo alle introspezioni, Maometto si ritira spesso a meditare, finché un giorno gli appare in visione l’arcangelo Gabriele, che, in una sola notte, gli rivela, nella sua interezza, quello che sarà il contenuto del Corano e lo nomina “Inviato di Dio”. Racconta la sua esperienza ad amici e conoscenti, ma pochi sono disposti a credergli. Fra questi vanno ricordati la moglie e lo zio, che gli saranno di grande aiuto, sostenendolo nei momenti di difficoltà. Qualche anno dopo la visione, intorno al 613, Maometto inizia ad annunciare quanto Dio gli ha rivelato, e cioè che c’è un solo Dio, Allah, e una sola religione, l’Islam, che Allah ama tutti, compresi i deboli e gli umili, e vuole il trionfo dell’Islam, che premia coloro che lo pregano e praticano l’elemosina, mentre minaccia terribili castighi a quanti si preoccupano soltanto dei loro beni terreni.
Inizialmente la predicazione di Maometto non incontra particolari ostacoli e può conquistare i primi seguaci, che sono proprio i membri delle classi più povere, ma quando il fenomeno si allarga e raggiunge la cerchia degli aristocratici, cominciano le prime difficoltà. La maggior parte degli aristocratici, infatti, lo crede pazzo e visionario e si burla di lui. I mercanti, temendo che il rifiuto delle altre divinità finisca col rappresentare un duro colpo per il commercio, lo contrastano e lo perseguitano. Nel 619 muoiono la moglie e lo zio, lasciando un vuoto incolmabile. Da quel momento il legame con la famiglia è spezzato e Maometto può contare solo su se stesso. Cerca allora di stringere nuove alleanze con le popolazioni vicine, finché non gli riesce di convertire alcuni abitanti di Yatrib (la futura Medina), venuti alla Mecca in pellegrinaggio (620). Nel 622 Maometto e i suoi seguaci sono costretti a fuggire (egira) dalla città natale e si rifugiano proprio a Medina, dove trovano un ambiente alquanto favorevole. I musulmani fanno iniziare la storia del proprio Stato proprio in quest’anno, che segna anche l’inizio della vita politica di Maometto, ma anche la sublimazione del dolore per la perdita dei propri cari, che lascia il posto ad una rielaborazione in positivo del distacco.
Medina è composta da tanti clan rivali (alcuni, quelli dominanti, arabi, altri ebrei) e non ha buoni rapporti con i meccani. Maometto riesce ad unire alcuni clan, che impegna in numerose piccole azioni militari di successo. Il consenso intorno alla sua persona va crescendo, finché diviene “la guida indiscussa di Medina” (CRESPI 2003: 102). Allah vuole il trionfo dell’Islam, ripete, e sconfiggerà i suoi nemici. Richiamati da questo irresistibile messaggio, sempre più seguaci accorrono al seguito del profeta e pendono dalle sue labbra: la fede in Allah ha unito membri provenienti da diversi gruppi clanici e tribali e costituito un nuovo popolo, che adesso è legato non solo da vincoli di sangue, ma anche e soprattutto da vincoli culturali, di natura religiosa. La svolta è radicale e offre possibilità di cooperazione potenzialmente illimitate. Chiunque, infatti, da qualsiasi famiglia e luogo provenga, può, accettando la fede in Allah, far parte dell’Islam. Da questo momento, “non sono i legami di sangue che contano, ma i patti di alleanza, un’alleanza fondata su un ideale comune. Alla tribù succede la comunità, la umma” (DELCAMBRE 1993: 58).
A Medina, Maometto e i suoi seguaci possono inizialmente contare sull’ospitalità dei medinesi, ma ben presto devono provvedere da soli a se stessi, e lo fanno ricorrendo a quel mezzo di sussistenza estremo, del tutto legittimo fra i beduini, che è la razzia. Così Maometto inizia ad assaltare e depredare le carovane meccane. I meccani rispondono e ne nasce un conflitto armato, nel corso del quale i musulmani di Maometto si vanno convincendo di combattere una guerra santa contro gli infedeli. I caduti in battaglia vengono ricordati come martiri e ciò fa crescere il fervore religioso tra i musulmani. Nello stesso tempo, si va sviluppando un forte attrito tra musulmani ed ebrei. Dichiarati colpevoli di aver parteggiato per il nemico, mille ebrei vengono decapitati (627).
Ormai per il musulmani è il trionfo e Medina non è più una semplice confederazione di tribù, ma “è divenuta un autentico stato teocratico” (DELCAMBRE 1993: 102). Nel 630, Maometto può ritornare alla Mecca da trionfatore, ma due anni dopo muore senza lasciare alcuno scritto, né alcuna disposizione ai suoi seguaci, né figli maschi, e ciò contribuisce a creare dei disordini per la successione. Molti capi locali iniziano a combattersi per contendersi la successione, finché il suocero del profeta, Abu Bakr (632-4), riesce a convincere i contendenti a volgere le loro armi contro i vicini imperi persiano e bizantino, da cui avrebbero tratto abbondante bottino. Inizia così una folgorante stagione di conquiste.
Il primo grande condottiero arabo, Omar (634-44), dà inizio ad una rapida espansione, conquistando la Palestina (636), l’Egitto e parte della Persia (642). Sotto il califfato di Othman (644-56) si completa la conquista della Persia (651) e viene composto il Corano che, secondo i musulmani, è la parola di Allah, che è stata rivelata dall’arcangelo Gabriele a Maometto. Da quel momento il musulmano (muslin) è colui che si sottomette e obbedisce alla parola del Profeta. Alì (656-61) conclude la lista dei quattro califfi ortodossi o “ben guidati”. Gli succede il rivale Moawija (661-80), che fonda la dinastia degli Omayyadi, i quali ampliano ancora l’impero conquistando il Magreb, la Spagna, il Baluchistan, il Sindh e la Transoxiana e raggiungono l’apice della potenza sotto al-Walid (705-15). Falliscono invece il tentativo di espugnare Costantinopoli (717) e di espandersi in Francia (732). Nel 750 la dinastia degli Omayyadi viene massacrata e deve cedere il posto a quella degli Abbasidi, che regnerà per cinque secoli, avendo per capitale Baghdad, e sotto di essa la civiltà araba raggiunge il suo apogeo.
Per l’Islam non esistono distinzioni etniche poiché tutti gli uomini sono considerati figli dell’unico Dio, che ha nel califfo il suo rappresentante terreno. In teoria, nessuno è obbligato a convertirsi all’Islam ma, il fatto che agli infedeli viene imposta una specifica tassa, o testatico, contribuisce a far sì che le popolazioni sottomesse si convertano in massa spontaneamente. Dopo la conquista di Cipro, Creta e Sicilia (IX secolo), i “saraceni” percorrono in lungo e in largo il Mediterraneo, sbarcano nelle coste di Africa, Italia e Francia e seminano il terrore nelle popolazioni, uccidono e fanno razzia di ogni bene, portano via dei prigionieri, che poi vendono come schiavi.
16.1. Religione islamica ed espansione militare
Ultima a nascere fra le grandi religioni universali, l’Islam è sostanzialmente fondata, oltre che sul Corano, anche sulla Tradizione, ossia sull’insieme di detti e atti attribuiti al Profeta, come pure il diritto, la legge e l’ordinamento politico dei paesi islamici, il cui governo assume le sembianze di una teocrazia. A queste condizioni, non desta meraviglia il fatto che la religione islamica predichi l’obbedienza alle autorità costituite, rivelandosi funzionale al potere politico. “L’Islam è [anche] una religione pratica, chiara, non ha mai indicato un obiettivo difficile da raggiungere, manca di misteri e di questioni teologiche” (ABDALLAH, SORGO 2001: 125). Nella pratica, l’Islam chiama i fedeli a rispettare i seguenti cinque pilastri della fede: credere nell’unico Dio, pregare, fare l’elemosina, digiunare nel mese del Ramadan, fare un pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita. A suo fondamento c’è il bisogno di abbandonarsi al volere di Dio e di accettare tutto ciò che proviene dalla sua imperscrutabile volontà.
I primi successori di Maometto sono chiamati califfi, che vuol dire “vicari”, coloro che governano al posto del Profeta. Essi vengono eletti dall’aristocrazia meccana e il loro ruolo esclusivo è quello di rispettare e fare rispettare la Legge rivelata, successivamente, a partire dalla dinastia Ommayade (661-750), è il califfo in carica che nomina il proprio successore, e, infine, con l’avvento al potere degli Ottomani, si passa alla discendenza di sangue. Si deve al califfato se le tribù arabe possono mantenersi uniti nella nuova religione e rendere possibile una politica di espansione, che, certamente, è anche favorita dalle condizioni di “debolezza interna degli imperi bizantino e sasanide, sfiniti da anni di guerre intestine, unita al grave malcontento delle popolazioni, che si rifiutavano di appoggiare i governanti contro l’invasore” (GUARDI 1997: 70).
Dopo la caduta dell’impero romano, quella araba s’impone come la principale civiltà emergente. Gli Arabi non sanno essere creativi al pari dei Greci, ma hanno un più spiccato senso pratico e si rivelano eccellenti opportunisti, riuscendo ad individuare e ad utilizzare quanto di buono esprimono le culture con le quali sono venuti a contatto. Per esempio, per quanto riguarda i numeri, essi preferiscono le cifre in uso presso gli indiani, mentre rigettano la consuetudine di indicare i numeri con le lettere dell’alfabeto in voga presso i greci e i romani. Purtroppo, anche presso gli arabi ben presto prevale lo spirito religioso e la verità veene fatta coincidere con quanto è scritto nel Corano.
13. Presente e Futuro
15 anni fa
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