giovedì 10 settembre 2009

04. Il primato di Pietro

Il problema numero uno degli Odoacre e dei Teodorico è la loro mancanza di legittimazione: di fatto, essi governano solo in virtù della loro forza e della benevola accondiscendenza dell’imperatore bizantino, che rimane il legittimo sovrano del loro regno. In ogni momento egli potrebbe intervenire col suo esercito e spazzarli via, e sono in molti ad aspettare questo momento, che rappresenterebbe la ricostituzione dell’unità dell’impero e il ritorno alla “normalità”. Fra costoro c’è anche il vescovo di Roma. Anch’egli riconosce come legittima autorità l’imperatore d’Oriente e a lui si rapporta più che con questi barbari conquistatori di passaggio. Ma l’imperatore è lontano e ciò conferisce al vescovo romano una straordinaria libertà di parola e di comportamento.
È in questo contesto che Gelasio (492-6) matura la profonda convinzione della dignità del proprio ufficio, giungendo a proclamare la superiorità del potere (spirituale) del papa su quello (materiale) del re, ed è la prima volta che ciò accade. Non si tratta di una svolta rivoluzionaria, ma di una logica evoluzione di un’idea, che è rimasta implicita sin dai tempi di Costantino, e che se solo ora può essere espressa con chiarezza. È la conferma dell’ingresso del papato nella politica internazionale. La logica di Gelasio sancisce il cosiddetto “primato petrino”, ossia il potere universale del vescovo di Roma. Va da sé che questa dottrina non è affatto condivisa dall’imperatore, che però, al momento, è impotente e deve subire, ed rigettata anche dai vescovi orientali, che la ritengono infondata e pretestuosa.

04.1. Il ragionamento del vescovo-papa
La logica del ragionamento di Gelasio, da cui si svilupperà la storia del medioevo, è formalmente ineccepibile e la veridicità delle sue conclusioni dipende da come ci si pone di fronte all’esistenza di Dio: se Dio esiste, quelle conclusioni sono vere, se non esiste sono false, se esiste solo per fede sono solo verità di fede.
Ma c’è un altro aspetto da considerare, ed è quello della Verità Rivelata, che sta alla base della religione cristiana. Secondo questa dottrina, Dio ha manifestato la sua volontà ad alcuni uomini, che l’hanno fissata in forma scritta. Ora, anche ammettendo che Dio esista, il buon cristiano dovrebbe attenersi alla sua volontà, che ci è stata rivelata nel Nuovo Testamento. Ebbene, questa volontà comanda al cristiano di non dedicarsi alle cose di questo mondo e di non entrare in politica. Dunque, la teoria di Gelasio è antitetica con la logica divina e, in quanto tale, sicuramente falsa. La storia poi dimostrerà che è anche deleteria.

Coerentemente con la sua logica, il papa vuole emanciparsi da ogni condizionamento possibile circa la propria elezione, in modo da non dipendere da nessuno. Per il momento, l’imperatore è lontano e non costituisce un vero problema: il vero problema è costituito dal senato romano, che agisce in rappresentanza del popolo. Volendo liberare l’elezione del papa da questa odiosa dipendenza, Simmaco (498-514) convoca a Roma un concilio (499), il quale riconosce al pontefice il diritto di designare il successore e stabilisce che, in caso di mancata designazione, il papa verrà eletto solo dal clero. In realtà questa deliberazione non avrà seguito e il senato continuerà a svolgere una funzione determinante nell’elezione del papa. Tuttavia, l’evento è sintomatico della coscienza che il papa ha di sé e del proprio ruolo, anche in campo politico, e che si accompagna ad un adeguato stile di vita. Il vescovo di Roma, infatti, si comporta come un gran signore e si serve delle sue grandi ricchezze patrimoniali per vivere nel lusso. Molti fedeli non approvano quell’ostentazione di potere e di sfarzo, che ritengono contraria ai princìpi del cristianesimo, e reagiscono rifugiandosi nel monachesimo.

04.2. Il monachesimo
In occidente, il monachesimo si organizza e si diffonde grazie all’opera di Benedetto da Norcia (480 - ca. 547), un giovane di nobile famiglia che, poco dopo la morte di Gelasio, viene inviato a Roma per compiere gli studi. Impressionato dallo stile di vita del vescovo di quella città, Benedetto si fa eremita e infine fonda un’abbazia a Montecassino (525) e impone alla comunità una Regula (529). La regola benedettina stabilisce l’obbligo della residenza nel monastero, la povertà, la castità, la sottomissione all’abate, il lavoro manuale unito alla preghiera, il dovere d’ospitalità, la cura dei poveri e l’insegnamento.

Roma ha perso da tempo il suo antico splendore e si è avviata a divenire una città clericale. Il suo aspetto è decadente, sia dal punto di vista urbanistico che demografico, la povertà dilaga e l’unica attività pubblica fiorente è la costruzione di chiese, che, nella misura in cui offre lavoro alla povera gente, svolge una funzione positiva.

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