Nella seconda metà del V secolo, la situazione a Costantinopoli è molto migliore che a Roma, soprattutto per il diverso atteggiamento della Chiesa orientale, che si schiera a sostegno dell’imperatore e si rifiuta di scendere a compromessi coi barbari. “Insomma in Oriente la religione rianima la vita dell’impero, in Occidente la sostituisce. Per questo in Oriente non c’è Medioevo” (MOMIGLIANO 1987: 372-3). Dopo la caduta di Roma, l’imperatore d’Oriente continua a considerarsi come “l’unico legittimo rappresentante dell’Impero romano” (COGNASSO 1976: 74).
Nel 536, approfittando dei contrasti dinastici esplosi alla morte di Teodorico, l’imperatore Giustiniano (527-565) decide di passare alla controffensiva ed ha così inizio la guerra gotica che, per quasi vent’anni, insanguina e devasta la penisola. Alla fine i Goti vengono cacciati (552) e una parte dell’Italia ritorna sotto il controllo di Costantinopoli (esarcato di Ravenna). Adesso che l’imperatore si è avvicinato, il papa non può far altro che sottomettersi alla sua autorità, che, d’altronde, non è stata mai messa in discussione. Anche Giustiniano, come Gelasio, ritiene che due siano i poteri supremi, quello imperiale e quello vescovile, ma, differentemente da Gelasio, vede la massima autorità nell’imperatore, il solo che può nominare e rimuovere i vescovi, avere l’ultima parola in fatto di ortodossia, regnare su un unico impero e una sola chiesa e svolgere il ruolo di vicario di Dio sulla terra (DUFFY 2001: 79-80). Per il momento, la contesa si chiude a vantaggio dell’imperatore, che può continuare a considerare il papa come un proprio funzionario.
Un paio di anni dopo (534) Giustiniano riesce a riconquistare parte del Nordafrica, dove istituisce l’esarcato di Cartagine. È un momento buono per l’impero d’Oriente, che adesso ha riguadagnato la supremazia navale nel Mediterraneo. Non passa molto tempo però, ed ecco che i bizantini devono subire la pressione longobarda, insieme a quella di avari e persiani, che avanzano in armi. L’impero rischia di cadere quando Eraclio (610-41), un geniale uomo di guerra, riesce a salvarlo, anche se i pericoli non sono finiti. Dopo alterne vicende, la guerra persiano-bizantina (572-628) si conclude con un nulla di fatto, ma con le due potenze prostrate, specie la Persia, che entra in uno stato di anarchia.
Ad approfittare sono i successori di Maometto, che si avventano su entrambi gli esausti vicini: l’impero persiano cade, quello romano d’Oriente sopravvive, ma a prezzo di pesanti perdite territoriali. Nel 674-5, gli arabi giungono ad assediare Costantinopoli, ma vengono respinti. Ancora una volta l’impero è salvo.
Sotto il regno di Leone III (717-41), si apre la cosiddetta lotta iconoclasta (726), che costituisce per l’imperatore un pretesto per liberarsi dalla crescente potenza dei monaci, la quale è basata anche sullo sfruttamento della superstizione popolare per mezzo delle immagini sacre. Ora, la proibizione del culto delle immagini viene appunto a costituire lo strumento attraverso il quale può giustificare la persecuzione dei monaci. Il papa è contrario a questa politica di Bisanzio e comincia a guardare con crescente interesse all’emergente potenza carolingia. Indebolito da lotte intestine per il potere, l’imperatore d’Oriente nulla può per impedire che Carlomagno venga incoronato a Roma (800). La lotta iconoclasta finisce nell’843, quando il concilio di Nicea ripristina il culto delle immagini, e lascia sul campo un deterioramento dei rapporti fra Costantinopoli e Roma.
A partire dall’867, Bisanzio comincia a crescere grazie ad una fortunata serie di imperatori-soldati-amministratori inaugurata da Basilio il Macedone, che copre un periodo di quasi due secoli: è l’apogeo dell’impero (867-1057). In questo periodo Bisanzio riconquista prima la Calabria e Taranto e poi la Mesopotamia, l’Armenia, la Cilicia e la Siria. Con Kiev i rapporti sono inizialmente ostili, ma poi si distendono, specie dopo il battesimo di Vladimiro (988), e consentono la diffusione del cristianesimo e della cultura bizantina nell’Europa orientale. Rimangono i preoccupanti problemi sociali, che affliggono l’impero sin dai tempi di Giustiniano e che consistono in un’iniqua distribuzione delle risorse, che favorisce le classi possidenti e aristocratiche e che dà ricchezza ai ricchi e tutela scarsamente i poveri. Al momento questi squilibri sociali generano solo qualche isolata rivolta contadina, che è facilmente controllabile da imperatori validi, ma sono destinati a diventare un fattore di crisi profonda il giorno in cui l’impero dovesse, per una qualche ragione, indebolirsi.
13. Presente e Futuro
15 anni fa
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